Vincenzo Lisciani Petrini




Il mio viaggio in Medioriente


Qualche anno fa, in una Summer School in Germania, avevo conosciuto una bellissima ragazza giordana. Fino a quel momento, lo ammetto, non avevo mai considerato l’ipotesi di viaggi lunghi fuori dall’Italia avendo un’idea di mondo ancora molto vaga. La mia voglia di scoprire nuove realtà si era impigrita e il mio piccolo orizzonte sembrava più che sufficiente. Con questa ragazza è nato un rapporto davvero speciale, un amore semplice e profondo che mi ha messo di fronte alla scelta di viaggiare in Medioriente, di uscire dal mio guscio e confrontarmi con una realtà del tutto nuova. Così da settembre a dicembre 2008 sono stato in Giordania, come studente di arabo presso l’University of Jordan. Ovviamente: il motivo principale era stare con Rawan, che era diventata da poco la mia fidanzata. Appena arrivato, ho visto paesaggi del tutto nuovi: da abruzzese, abituato alla preponderanza delle tonalità verdi dei boschi e delle colline, di colpo tutto nella mia vista si faceva bianco, riverberante di luce e di sabbia. Gli odori così penetranti che mischiavano spezie, polvere e carne cotta agli spiedi. Amman (capitale giordana) mi si presentava come una piccola Dubai dei poveri, con l’ansia di crescere e mostrare segni di una floridità economica mentre nei quartieri di periferia marciva la disperazione e una povertà come mai avevo visto. Col passare dei giorni, faticosamente, sono entrato nella quotidianità di Amman affrancandomi dal ruolo di semplice turista: cominciavo a conoscere i vicini di casa di Jabal-Al-Waebdhe. Ci salutavamo spesso e con calore. Al Dry Clean ero un cliente di fiducia (mi chiamavano Mansur), così come al piccolo supermarket o al fruttivendolo. Cominciavo a diventare persino esperto dei trucchetti dei taxisti che cercano di spillarti qualche spicciolo in più. Erano diventati normali anche le canzoni dei venditori di strada (come quelli delle bombole del gas) e i canti dei minareti, di notte, non mi svegliavano più. Sono stati giorni bellissimi dove alla fine sono uscito arricchito. L’esperienza di essere una minoranza, di essere uno straniero è stata fondamentale per capire tante situazioni della nostra attualità e per capire tutta la paura che si ha nell’affermare una propria identità. L’identità più importante è sempre quella di uomini capaci di amarsi e di essere fratelli sotto questo Cielo. Tale convinzione si è rafforzata giorno dopo giorno, specialmente in occasione del viaggio a Gerusalemme, poco prima che tornassi a casa per le feste di Natale. Gerusalemme mi si è presentata come una delle città più belle che avessi mai visto: un segno vivente di contraddizione e armonia. Bella da piangere. Tornato in Giordania per qualche giorno, prima di ripartire alla volta dell’Italia, ho avuto modo di conoscere il Vescovo di Baghdad. Non dimenticherò mai il suo racconto delle violenze e i massacri che i cristiani hanno subito in Iraq. Tornato in Italia ho scritto, ma non tante poesie. Solo alcune che inquadrassero dei momenti epifanici di questo viaggio. Le ho incluse in un libro chiamato “Liriche”, che alla fine, in ultima stampa, è diventato “Quarti di sole e luna” (Giovane Holden Edizioni, 2010) prendendo come titolo proprio il reportage poetico di questo viaggio tra deserti, città e persone del Medioriente.


Vincenzo Lisciani Petrini












QUARTI DI SOLE E LUNA




Venerdì nel mercato di Abdhali

Amman, stazione di Al-Abdhali


Questo groviglio di colori
è già dissolto nel bianco:
la voce del Profeta canta roca
dai minareti la preghiera
e così anche a me viene da giungere
le mani al petto, memore
del grande cielo che signoreggia
sui popoli.

Ora le donne con passi invisibili
arrivano dalle colline
e scendono nel mercato
seguendo sempre il lento vivere.
C’è gente che ride, che beve
il tè, che guarda i colori nuovi.
Si respira il fumo delle braci:
odore di pollo, pecora, spezie...

Cosa buona è mangiare.
La gente ha compiuto sacrifici
per tenersi viva e ringraziare Dio
di quest’altro giorno.








Aria di deserto

Amman, Jabal Al-Webdhe


Cumuli di sedie, vecchie cose sparse,
rimasugli del vivere, unguenti neri,
odore di spazzatura: anche questa
è aria di deserto, del silenzio di Dio.

E di lontano l’apertura di mille case bianche
sulla collina come piume d’angelo
che alzano la terra al sole
o come i denti di un bimbo che ride.

Così la terra non possiede la sua gente
perché chiunque può sentirsi dentro
come in una locanda sperduta nelle terre
di nessuno, ridendo tra compagni di viaggio.

Chiunque può trovarne ristoro
all’ombra di alberi dimenticati
sul sentiero del nostro dolore
e del nostro gioire.


*    *    *

Cresce la luna che si alza nel vento
fresca di luce come un volto di sposa.
Nella notte lei fa ancora promesse
in cui sperare fino alla fine di questi giorni.

E la pace è per tutti.










Giochi in periferia



Ho giocato con te, Fadi, un tiro di pallone
nella porta del cielo, un sorriso,
un’esultanza, un gol sotto l’incrocio
di sogni impossibili.
Difficile dire cos’è
questa vita, questa storia.
Il numero della maglia, indichi, il 7;
e il nome: Ronaldo, del Manchester.
“Lo conosco, è un giocatore forte...”
 rispondo.

Nella tanta sporcizia di uomo,
tra le sue sinistre macerie
sei riuscito a giocare con i tuoi
piccoli fratelli. Tu sai ridere
di fronte a questo nulla di città
e aprire nel grigiore del presente
l’acuta voglia del Cielo.
Mi unisci ad un cuore di sole
e cammino più leggero e vivo
in questo inesorabile andare.






I gatti di Amman



Nei rantoli vostri ecco la fame
che vi spinge a caccia di cibo
ovunque ve ne sia traccia.
Qualcosa vi abbiamo gettato
per pietà e disprezzo, come
a barattare un certo favore,
una reciproca necessità che ci
costringe insieme. E c’è invidia,
per vite libere, ma il giorno
fa presto a sporcarvi, a mostrarvi
come bestie una volta nobili
e ora abbiette, immonde
come il vostro cibo. Il mondo
è polveroso, incurante: sgusciate
via nello sporco, in un tonfo
di plastica e giornali balzate via
vi rialzate sui muri di cinta
contro la luce del tramonto.
Guardate da lì la gente che passa
pronti a scappare
per vie a noi precluse.



Quarti di sole e luna

Wadi Rum - Giordania


Volti al sole gli occhi bruciano
alla luce tiranna e l’acqua scarsa
riarsa nelle sabbie ti spinge
a fermarti, a cercare rifugio
all’ombra di tende, tra gente
nomade sin dalle prime albe.


Ora uomini scuri, donne velate
a desideri carnali, io non colgo
fiori di cose che dico mie.
Ma esseri restiamo, creature
senza radice incamminate
sotto quarti di sole e luna
che ci segnano nel digiuno
e nella preghiera.


Viviamo ancora veli disadorni
di sotto a riverberi che accecano.
Passa il tempo, poi noi:
ci aspettiamo come dietro
a qualcuno che non torna
in questa vita ovunque uguale
a se stessa.













Meditazione




E non credo che la voglia del pianto troverà il suo sfogo, l’acqua dell’anima che sgorga dalle rocce spezzate in corpo. Come ogni prima volta sarà difficile, come nascere e morire. E tutto questo non è poi niente, si può credere. Ma ancora provo un forte dolore, la voglia di mandar fuori di me ogni cosa, ogni emozione.
E capire.
Ho scelto attimi di quiete: odore di erba e mele che mi salgono dentro e improvvisa vedo la mia fede dietro ogni umile gesto dato via, nell’incerto amore che mi lega al mondo.









Lontano da me

«Io verrò come un tempo, dirò i vecchi nomi d’amore,
supplicherò chiedendo se il cuore batta ancora.»

                                                                 Friedrich Hölderlin 



Lontano da me c’è ora quel tuo cielo
e una terra – ci sono carne ed ossa
di gente nostra che ora non vedo.
Io esisto ancora, fratello, ma non con loro
e non con te. Mi ritrovo solo e cammino
col petto svuotato e il cuore fermo
a seguirmi come un viandante
senza oriente.
Passo nascosto in questa notte nera
di dolore: non vedo bagliori
di lanterne o lumi per viandanti.
Sarò forse perso, ma non m’importa.
Un angelo mi cammina affianco
celando le sue ali di gloria per non
ferirmi e allontanarmi via. Siamo stati
colmi di perdono per ciò che il mondo
anche oggi ha tradito.

Eccomi come straniero noto alle genti
che passano sotto gli archi del tempo
e abitano quel mio nuovo sguardo.
E la mia terra non è la mia stessa
e questo stolto cuore è un stolto
che prega in una lingua non più sua.


*    *    *


Fratello, ora che tu non mi vedi,
mi trovo a pregarti: resta sempre vivo
e non morirmi lontano. Mantieni
questa promessa: saluta il mio ritorno...
E io non so a quale silenzio
giunga questo voto, ma ti vedo con dolcezza
dormire nel tuo lieve sonno prima dell’alba.
E immagino come in un vento la mia voce
risuonare di sogni nella tua stanza
e donarti ricordi di parole nostre
che ancora ti chiamano lontano da me,
dove ancora sono.



La scala verde

Amman,  Cafeteria di Down Town


Già il fumo mi porta lontano
con la mente: ricordo più cose
fermo in questo distacco
di piacevole, malinconico,
profumo.

( Sorseggio thé alla menta –
tossisco il fumo alla mela:
sono già troppo avido,
di sapori, di cibo, di amore)

Ritorno improvviso a me stesso,
come cadendo da un sogno ad occhi aperti.
E penso al ritorno, alla casa lontana.
Eppure questo spazio mi tiene
ancora a sé dicendomi segreti,
mostrandomi altre vie...


C’è una scala verde
con una ringhiera vecchia e arrugginita –
non ho mai chiesto dove portava.






4 commenti:

  1. Grazie ad "Autori ed Editori"... che emozione e che onore!
    Vincenzo L P

    RispondiElimina
  2. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

    RispondiElimina
  3. Grazie a te, Vincenzo.
    Mi ritrovo nel tuo spirito di viaggiatore-non-turista, nell'ansia del voler scoprire. Ansia inestinguibile, credo: per chi voglia ricercare, il materiale a disposizione non finisce mai.

    RispondiElimina
  4. molto belle anche le poesie che hai inviato a poiein, bravo Vincenzo, come vedi l'onore è anche nostro, sei giovane e già con uno stile definito

    RispondiElimina

prova