Silvia Molesini





Sita madre




Sita madre,
tasi
che tutte le ossa scricchiolando parlano
sento le cento ossa sbattono sulle scale
i calcagni, i zenoci stanno scrocchiando
così tu arrivi zitta
sita madre,
tasi, tasi
spetarte (quel lento di te)
la to parte, il mondo vacuo a me, a me.
Sita.
Mi hanno rovesciata come un guanto
(i o speté dedrio le tende)
ma un ardore infallibile ha scostato immagini e mostresse.
Facendo si che poi tutto possibile, un vento interno, l'incantamento, il movimento
delle braccia, tese, le ale, le ale, muovesse me
ma attorno come se morisse ma svergolo e no che moro no che moro
ti tasi,
tazza di porcellana da non rompere in bilico sulle punte
toco de vero, e biceri flute sciampagne, bacane da i basini ai alpini
il tutto in un contesto rifinito e savuar fer.
Arrivo io scomposta e sanfasona spaco davanti alla paura
tutta la cristalleria davanti alla paura non mi ricordo
quale la paura e sa o spacà, mi, veramente?




* * *



Non si integrava, a distanza
immigratizia ma sociale ma
non integrata non quella
mascherina, la fata, non rosa e
non quel giornale, rosso, quel
saluto non quella musica figa
l'appartenenza-mistero
(possesso disambigua), non
si faceva vedere qualcosa in mezzo.

Col piccolo cucù cuore a passeggio
sui ponti più lunghi del quartiere inserato
col vento dentro passava Cucù,
la silenziosa bombardata specialmente:

che non s'integrava
alla notte spennellata in
corpo maturo o a
venti bambini seduti a rovescio
nella sala impagliata e
beati saperne ridere cantando:
esce preoccupata dalla porta, a foga,
non ha il tocco armonizzato ora
nuota scorrente e inciampa disintegra.


* * *


Ma libero s’incontra oltre
in poco fare e nulla
mi dice nulla solca, sa.
Non è aceto asse non è
albero o corolla, silice
ma lato, si alza da parte
rimangono i cocci, le schegge
a mano e più le allineo
questo si stende e offre di
concludere come per un mosaico.



* *


L’altra sera restava chiuso
e come apriva gli occhi?
E come soffriva dolore?
E com’era?
Non si guardava attorno.
Una passione sintetica,
tutto lì.


* *



La mano è un guanto
tutti questi nervi l'amano
e ad avvolgerli c'è lei
unguento, soffice gentile ala
ed anche cuore come
pelle e muscolo e laccio
ecco la prova: insieme rimbalzano
la mano l'ama piano
e piano penetra lama, dentro
il fragile astuccio la polpa scura
a sua volta s'unge di quel
dolore elettrico mite e come
il ciclone, ha un punto fisso
sulle costole.


* *









LA RIGENERATA RO(S)SA

Sugl’incantevoli,
e sul mare ricordo che li portava
e sul mare
e sull’impercettibile istante che scocca le linee le ore
io, voglio averti deposto.

Sarà che tutto allora paremi opaco,
vedo spaccarsi le onde
capisco poco del testo
ruvido incocciato cui
abbiano tolto tutto, lui
amor te.

Si farà bella la vita bambina
le isole sembreranno aggiunte
il sole del rumore degli hub appena brumo
e un invito per le tre:
l’ora del mannaro.

Io, ma non mi allontanerò senza parlare
con la gente di riferimento
ed un mistero maturante



* *



S'indovina a sera

strale frizzante
lì tutto si spegne
lì tutto si perde
per questo resta sveglia
e attizza le sillabe
da dieci voci dieci
al sangue, al sangue.
Non l'ho vista più
diventarmi leggera
solo verso sera
se tutto si spegne
sembra vedersi meglio
magra d'incontri
e per poca carne
confondere sé e luce
dirottata dal tramonto
ridivenire arida
molte volte più povera
e potente del sonno.
E più grave del sonno.
E più stanca del sonno.







Silvia Molesini, nata a Bussolengo (Vr) il 14 luglio 1966, vive e lavora come psicoterapeuta a Costermano (sempre Vr). Ha pubblicato le raccolte Nuova noia (Ibiskos ed. 1987), L’indivia (Campanotto ed. 2001), Il corpo recitato (I figli belli ed. 2004), Lezioni di vuoto (Liberodiscrivere ed. 2006), Cahier de doléances (Samiszdat 2009), 13 algebriche mistiche (voici la bombe 2010). In corso di pubblicazione “Un Es opaco”. Ha partecipato al romanzo a rete Rifrazioni scomposte su corpo 12 e, per circa due anni, membro fondatore, al progetto Karpòs. È presente in diverse antologie, su riviste letterarie , fascicoli e siti web (Le voci della luna, Filling Station, L’ortica, Critère, Niederngasse, Progetto Babele- Il foglio letterario- Historica, Absolute Poetry, Lettere Grosse, La dimora del tempo sospeso, Podcast di Poecast, La poesia e lo spirito, Private, Tellusfolio, Nuove Tendenze). E' stata segnalata in alcuni concorsi di poesia (nel 2008 : con Esanimando al Premio Montano e al premio Mazzacurati/Russo con Cahier corpo piccolo ). Collabora con zeropoetry e viadellebelledonne. Work in progress e sito di riferimento: Nascita e morte (titolo provvisorio). Letture su www.myspace.com/molesini (Alle quattro e venti circa) e su http://www.youtube.com/molesini



Da “Gesti d'aria e incombenze di luce”, dissertazioni critiche di Enzo Campi

Cosa accade qui? In questa solo apparente asemanticità la Molesini dissemina i semi per una «fioritura» che si apre (nero- quadrato nero) e si conclama (rosso- rosso sangue) in uno sfiorire. In termini di scomposizione e di raddoppiamento cubisti, suggestionando la Stein (“una rosa è una rosa è una rosa è una rosa”) si potrebbe dire che una rosa è una rosa e che – pur rimanendo rosa – si predispone al suo divenire ros(s)a. Rosso di sangue. Un sangue al nero. Il rosso del sangue (la linfa della rosa) si costituisce a partire dal nero (“nero è nero”). La necessità metonimica si conclama nel traslare il senso della rosa [parafrasato dalla Stein e innestato a mo’ di ritratto (Picasso che dipinge la Stein) in un’atmosfera cubista] nel pettine rosso che si crede sangue e si forgia nel nero.
Così l’inconosciuto può essere inteso (ma anche frainteso).



Sebastiano Adernò su “Un Es opaco”

[...]Una sorta di caleidoscopio dove ci pare di aver visto, forse. Una poesia coraggiosa frutto di chi non ha smesso di sperare che lo specchio si rompa liberandoci da questa grande epifania collettiva che chiamiamo normalità.



Dalla prefazione di “Lezioni di vuoto” di Luigi Romolo Carrino

[…] insegna lo spazio che divide una parola da un’altra, un luogo a-centrato dove la parola perde la sua autosufficienza e l’identità non è conquista ma vuoto fertile, itinerante nel collasso dei significati. Una sottrazione volontaria (vuoto generatore) e implosione di vocaboli l’uno dentro l’altro (metaestasi, argentaffine, coésie, stanchestenuo), una dilatazione mancante, individuata e fonematica, non senza giochi paronimei:

Che l'ombra di un altare
il piede muscolo che lei
stando ferma confacente insinua
che lui pietrificato attivo preso a forma
che loro solo adesso
solora
dall'incontrarsi senza braccia e brecce
ma il definito delle chiavi stracce
sul foglio ingombro di palcoscenico arredo
e si-arreda-no, si-arrendo-no…

                                                   








5 commenti:

  1. mi piace molto - sita madre - per la commistione di lingua e dialetto, crea un impasto ad alta densità emotiva e con un ritmo drammatico e incalzante

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  2. la poesia di Silvia non s'incardina nell'ipertrofia dell'io ma sembra originare da un'indubbia propensione all'ascolto, da un'attitudine di lungo corso a scandagliare con lo sguardo le crepe di un mondo che barcolla, non riesce a integrare i molteplici elementi, procede per fratture, per traumi.
    lo fa senza abdicare alle regole della buona creanza poetica, che sono quelle di dissodare il terreno della lingua, mischiare altitudini diverse, tentare incursioni nel dialetto, spingere su registri diversi, ricorrere al gergo, usare in definitiva quel tanto d'insolenza nei confronti dell'ordine costituito.
    Verrebbe da chiederle: si tratta di propensione all'ascolto rafforzata dall'esperienza professionale ? soltanto da lei può giungere una risposta.
    Registro la spigolosità di certi assunti, una frammentazione che scaturisce dalla visione di paesaggi disadattati.
    Una sorta di orecchio urbano che registra le incongruenze, abile a restituirci certi bruschi scossoni dell'esistenza, certi sussulti cui solo la poesia può tentare di restituire in una drammatica luce.
    Schegge, cocci, disseminati lungo un procedere che lascia solo intravvedere la piccola Cucù, la silenziosa bombardata specialmente.
    Piccoli spezzoni di romanzi, racconti solo accennati, da cui affiora una passione non sintetica, tutto lì.

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  3. Ho atteso, prima di commentare queste liriche, di poterle capire meglio, per quanto possa essere comprensibile la poesia. Mi scombussolavano (nel senso più positivo del termine) certe fratture che arrivano improvvise dopo immagini delicate. Ecco, definirei queste poesie delicate e tormentate al tempo stesso. Mi pare vi sia una ricerca profonda su terreni accidentati in cui solo la poesia, tra tutte le forme letterarie, ha i mezzi per procedere e oltrepassare gli ostacoli. Quindi - rispondo a me stesso - c'è poco da capire; c'è invece da lasciarsi condurre dalla magia della parola attraverso luoghi oscuri. Oscuri semplicemente perchè tali nella profondità del nostro essere.
    Benchè in genere non ami particolarmente la poesia dialettale, mi piace l'alternanza di italiano e dialetto nel primo componimento: mi rimanda a un mondo antico, a quello della madre, appunto.

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  4. Ringrazio per i commenti sin qui giunti, articolati e intensi. Faccio discreta fatica a parlare di quello che scrivo, come se la spiegazione togliesse forza, e questo fa, quasi sempre, in poesia. Ma questo posso dire: i testi qui pubblicati appartengono a periodi diversi, li accomuna una ricerca strutturale, l'esigenza di ridurre il "racconto" ad una sorta di musica parlante. E' questa riduzione, che passa dallo spezzettamento e dal fare buio, che avrebbe la pretesa di dare movimento e ampiezza, forse luce.

    La mia esperienza professionale non ha particolarmente segnato il fatto poetico, forse è più vero il contrario, Paolo. E condivido la riflessione sull'uso del dialetto, e dei linguaggi altri aggiungerei, come elemento espressivo dell'altrimenti nascosto, Paolo Z.

    Ringraziandovi ancora, che i riscontri arricchiscono, vi faccio un caro saluto.

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  5. mi piace molto, Silvia,la tua dichiarazione: -forse è più vero il contrario - mi sembra segno di grande umanità

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prova