Rosaria Fiore



Biografia


Rosaria Fiore è nata a Taranto nel 1952.
      E’ laureata in Scienze dell’Educazione, ed attualmente studia Psicologia a Bari.
      Frequenta gruppi e siti letterari e scrive poesie.
      Recentemente ha presentato i propri scritti nell’ambito delle riunioni dei poeti della
     Vallisa, a Bari, ed ha  vinto il concorso “Poesia del mese” di  Ottobre 2011 della rivista
      on line “Oubliette magazine”.
Abita in campagna, e molte delle sue poesie sono pervase dell’amore per la natura che è la
principale caratteristica del suo stile di vita.




 *** 

     I)    OGGI NON PIANGERE




Oggi fabbrica un maschera, per favore,
con la corteccia d’albero e le foglie d’alloro
fa’ soltanto due fori e mettiti ad ascoltare.

Attraverso il legno secco dell’autunno
vedrai la gente del  popolo animale
che cambia le penne e si prepara.

Riconosci  la lingua prima della parola
quando non eravamo umani e separati.
sentiti foglia, sciogliti nella terra
lasciati esistere come quando non c’eri.





II)      SE POTESSI NASCERE DI NUOVO



Se potessi nascere di nuovo
mi donerei la grazia di un mostro di palude
fra le canne, nell’acqua addormentata

Mangerei prede incaute, senza sforzo,
schiudendo appena l’occhio soporoso.

Vapori esalerebbero nelle giornate estive
esili piante  adornerebbero il vento
di profumi dolciastri e silenziosi.

Avrei giorni torpidi,  notti senza sogni.

Di tanto in tanto emetterei nel tramonto
l’incanto di richiami melodiosi.










III)         INDOSSO LA MIA VITA


La  mia strada di casa  ha  curve  di madonna
è un peccato guidare e non guardarsi intorno.
La mia strada di casa  oltrepassa rapaci
che attendono sui fili della luce
scoiattoli  che  sfrecciano al riparo
occhi-fiamma di gatti che spariscono.

La mia strada di casa  oltrepassa
cercatori di funghi in lontananza
le linee di cipressi frangivento,
l’architettura dei muretti a secco.

Sullo sfondo, in un prato, cavalli che sembrano miraggi.

A volte per un attimo mi fermo e spengo i fari
per lasciar fare alla luna il suo mestiere.

Dopo l’ultima curva, volando su una buca
intravedo il cipresso  che segna il mio confine.
“Ciao, pennacchio” gli mormoro ogni sera.

Poi, mentre dall’alto  riscendo alla mia valle,
contemplo  le mie siepi, le agavi  al cancello
dove rami ed erbacce contendono  l’asfalto.

Riconosco ogni pietra, ogni macchia sul muro.
Entro in casa, indosso la mia vita.

















        IV)  IN QUEL MODO CHE SI GUSTA UNA FRAGOLA


Domenica davvero credevo di averti capita
in quel modo che si gusta una fragola
sembravi avanzare sicura, tutto limpido
non si scorgevano i rami attorcigliati alla carotide
e se avanzavi era effetto del vento,

del treno quando i palazzi corrono
-come ci piace illuderci
credere smemorati all’abbraccio dei pali
all’accoglienza dei bucati sventolanti
festosi per noi, di noi,
la parata di finestre che si spalancano
un vienivieni con la torta nel forno-

e tu così, oggi, il mistero di una noce
nera oltre il guscio, un frutto rattrappito
fili di lana stretti alle caviglie
e una valigia vecchia piena di giornali.



V)  22 OTTOBRE

Non è certo per voglia di rischiare
che sfido la cecità con i rami negli occhi
una sedia infilzata precariamente nel terreno
e la testa nel folto delle foglie
Dovevate vederle, braccia d’albero cariche di doni
che a voltarmi non sapevo da dove cominciare
ho esclamato: sembra un albero di natale
perché pendevano a grappoli, a coppie, a profusione
verdi acerbe, rossicce quelle già da cogliere
e quelle nero viola, pronte per il sughetto o per la salamoia
e quelle che oggi porto in omaggio a mia sorella
che come sempre dirà “Non dovevi”, ma sorride
e insieme alle olive cucinerà l’amore che ho provato
a star lì come un uccello trapezista, a rischiar di cadere
cogliendo a piene mani le olive, ottobre, la campagna e  la mia fortuna.









VI)   CHIATONA BEACH


Son stati i morsi a vista senza balsami
a riportarmi verso il mio Jonio antico
ecco per me la bontà delle nuvole
l' ondulata clemenza di ombrelloni.

Ti parlo adesso dell'allegria delle boe
e delle mie scommesse per raggiungerle.
E' l'ora viola del pomeriggio in spiaggia
quando al largo le coppie fan l'amore.

Dal cielo nero un raggio trasversale
- è l'icona di dio- mi viene di pensare.
Qui sulla sabbia ricordo una medusa
un'ametista liquida presaga di uragani.


VII)   L' ORA  D'ARIA


So tutto, come all’uscita di un castello
se io avessi guanti lunghi da sera
e tu mi porgessi un ombrello da sole

c’è una diversa versione del mondo
in questo fingere di aspettare qualcosa
ma tu non dirlo, fermati e sorridi,

quei due sulla linea del portone
assaggiano l’uscita con la punta dei piedi
quasi un tuffarsi in alghe minacciose

è l'attimo sospeso fra le cupole d’aria
è il momento che cade, è la bolla che esplode
è l’ironica vita che ci abbaglia, prima.


6 commenti:

  1. Solo chi indossa la propria vita,si prende la libertà di chiamare "pennacchio",il cipresso a confine con la morte.Solo chi sfida la propria solitudine,può spegnere i fari,nella notte e rimanere intento in uno sguardo di privilegio e di stupore.Mari e campagne risorgono nell'ironia dell'esistenza. Nulla rimane escluso da una considerazione intima e pacifica di appartenenza,di ricordo o rivalsa .La sensazione è quella di un'alternativa di vita,senza rischiare più nulla.Dopo però,aver dato tutto di se stessi.

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  2. Ho colto un'intima aspirazione al panismo in quel desiderio di sentirsi foglia, in quel voler sciogliersi nella terra per cercare l'essenza dell'essere uomo, quella componente primordiale che, almeno per un giorno, ci permette di non piangere. Riconoscersi nell'ossimorica grazia di un mostro di palude, ma avere nel contempo la capacità di emettere dei melodiosi richiami: solo così ci é più facile indossare la propria vita, godere della propria strada, di ogni pietra e di ogni macchia sul muro; godere anche di quel cipresso che che segna il confine....Ma ho colto anche una gran voglia di fragole rosse, di festosi bucati sventolanti, di profumi inebrianti di torte ostentate sui davanzali. Immagini che esplodono in un attimo per poi sfumare in un frutto rattrappito chiuso in un guscio. Insomma, in queste poesie, ho trovato dipinta la vita nelle sue molteplici sfaccettature,Rosaria. Solo in sottofondo ho colto la combattività, il passo di corsa, il piglio deciso di Alba. D'altronde siamo....centomila. Complimenti, poetessa. Ed ora a te il compito di individuare l'identità di questo commentatore, un po' superficiale, se vuoi, ma sincero!!!!

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  3. Proprio belle queste poesie. Si sente il pulsare della vita da cui originano; si sente che sono "vere", che non c'è finzione, che non c'è gioco di parole fine a se stesso. Ciò, tuttavia, non basterebbe a far sì che si possa parlare di poesia: si avverte il mestiere (inteso nel senso "alto" del termine) di chi con le parole ha confidenza e sa come plasmarle.
    "Entro in casa, indosso la mia vita" è un verso emblematico.

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  4. di qualunque cosa parli, il modo di poetare di rosaria mi sembra "solare"; leggendo mi viene da pensare alla saggezza semplice e profonda della gente di campagna che, vivendo a stretto contatto con la Madre Terra, impara nuovi codici e codifica un modo diverso di cantare la bellezza. ho letto anche altro di rosaria e, devo dire, ci sono versi suoi che mi sono piaciuti anche più di questi. forse avrei voluto una maggiore intensità e partecipazione, uno slancio lirico più incisivo ma, d'altra parte, lei celebra il quotidiano: la torta nel forno, il sughetto con le olive, la strada di casa. leggi e pensi a una bimba, un peter pan al femminile che ti fa ciao con la mano. ciao alba.

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  5. Alla domanda. "cos'è la poesia" mi verrebbe da sositutirla con un altra: "cosa fa la poesia? " Dove ti tocca? Cosa crea dentro quando la leggi? Ti fa emozionare? ti fa piangere? ti fa ridere? Ci sono poesie che mi toccano dentro profondamente, oserei dire "che mi lavorano" mi cambiano, mi mutano. Ecco, io cerco queste poesie. Le cerco dentro e fuori, dappertutto. Ma raramente le trovo.

    valdo

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  6. Sono poesie in cui mi viene facile nuotare, un'acqua che trovo a me congeniale; versi di grande intensità e bellezza, come: sciogliti nella terra / lasciati esistere come quando non c'eri.
    O anche: esili piante adornerebbero il vento / di profumi dolciastri e silenziosi.
    Mi ritrovo soprattutto nello sguardo che abbraccia i rapaci sui fili della luce, gli occhi dei gatti e l'architettura dei muretti a secco.
    E' uno sguardo dal quale traspaiono l'amore e la meraviglia necessari, se non indispensabili, per mettersi a cucire dei versi. E una sottile ironia che se da una parte sembra prendere le distanze, in realtà dichiara semplicemente l'adesione ad una presa di coscienza alta, un distacco apparente che è invece fusione e partecipazione.
    Ciao pennacchio! non avrebbe senso privo di questa considerazione, di questa sana tensione a sentirsi parte: cogliendo a piene mani le olive, ottobre, la campagna e la mia fortuna.
    Ci simuove bene in mezzo a questi versi, si torna a casa carichi di frutti, ed è piacevole scorgere spezzoni di vita, piccole e sapide scene familiari e campestri, la sedia infilzata precariamente nel terreno, l'omaggio alla sorella che dirà: non dovevi..., il rumore della panda polverosa che non disturba i cercatori di funghi, i cavalli che sembrano miraggi, la gente del popolo animale che cambia le penne, i bucati sventolanti festosi per noi; ci si lascia abbracciare dalla ironica vita che ci abbaglia.

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prova